Nel mondo sempre più interconnesso e digitalizzato in cui viviamo, la nostra presenza online è diventata un'estensione della nostra identità.
I social media ci offrono la possibilità di condividere momenti di vita, opinioni e passioni con un vasto pubblico di amici (e nemici) virtuali, ma spesso ci pongono di fronte a un enigma complesso: quale versione di noi stessi vogliamo mostrare al mondo online? E perché, spesso, questo mondo ci provoca ansia?
Il dibattito sottolinea l'eterna lotta tra autenticità e perfezione, tra realtà e idealizzazione di sé stessi. Un riflesso virtuale dove tutto sembra perfetto, impeccabile e felice. Ma è davvero così?
I Social Media sono il palcoscenico, non la vita
Esiste una teoria secondo cui le persone si sforzano costantemente di proiettare un'immagine positiva di sé stesse, trasformando l'interazione personale in una performance, una sorta di sceneggiatura drammatica.
Alla luce di questa prospettiva, i social media non rappresentano altro che il racconto di noi stessi, con le nostre pagine personali che fungono da palcoscenico per mostrare esattamente l'immagine che desideriamo (o sentiamo di dover) proiettare, mentre esercitiamo un controllo completo e premeditato su ciò che condividiamo.
Come un romanzo, scritto in modo mirato e calcolato, perché una narrazione trasferita su un medium diverso dovrebbe essere differente?
Online possiamo usare una narrazione visiva, dove far vedere ciò che si vuole ma dove forse, nessuno, si mostra completamente senza maschere. Se nel corso di una singola giornata, sperimentiamo un'ampia gamma di emozioni, spesso difficili da percepire da un punto di vista esterno, anche all'interno del nostro fotoromanzo social si nascondono numerosi particolari che sfuggono al pubblico che ci osserva.
Per quanto l’uso - che di per sé non è problematico, a meno che sfugga al nostro controllo - risulti personale e unico, esiste un particolare che ci accomuna: la vita non è solo quello che è visibile sui social ma, nella maggior parte dei casi, l’unione tra online e offline.
Ansia e infelicità, la coppia predittrice dell’abuso di social
L’ansia di venire esclusi, o addirittura di perdersi l’evento dell’anno che tutti stanno condividendo nelle proprie Instagram stories è un sintomo moderno di quella che, in inglese, viene definita FoMo (Fear of Missing out).
Anche senza social, le generazioni precedenti provavano questa “paura di essere tagliati fuori” da determinate esperienze, relazioni o interazioni sociali. Cos’è cambiato allora?
Il desiderio umano di stabilire legami interpersonali spinge le persone a cercare un senso di appartenenza ai gruppi sociali. Oggi, questi gruppi, possono essere anche virtuali, formati da persone che hanno la possibilità di partecipare a comunità online, chiamate “bolle”.
La mancanza di connessione con questi gruppi attraverso le piattaforme social può generare la sensazione di essere emarginati dalla realtà quotidiana. L’unione dei due mondi è così vera che è ormai anacronistico pensare di poter separare le due cose.
L’uso della tecnologia può avere effetti positivi e negativi ma l’incessante bisogno di rimanere costantemente connessi, e avere sempre sotto controllo ciò che accade, può avere effetti negativi sull'umore e generare sentimenti di depressione, poiché induce il dubbio sulla validità delle proprie scelte di vita.
La soluzione, quindi, è smettere di essere online?
È vero, online possiamo sopperire alla noia e solitudine, permettendoci di instaurare rapporti validi a chilometri di distanza. Ma la vera soluzione è la consapevolezza.
Imparare a usare (responsabilmente) i social media può aiutarci a migliorare la soddisfazione personale e a costruire una solida rete sociale, sia dentro che fuori gli schermi.